Riunione del 12 novembre 2019
La Camera Penale Militare costituisce una acquisizione recente della volontà dell’Avvocatura di partecipare al processo di crescita dei servizi alla giustizia. Vorrei dire, senza alcuna enfasi, che questa stessa audizione da parte delle Commissione riunite II e IV della Camera dei Deputati, per la quale ringrazio i Presidenti, gli Uffici di Presidenza e tutti i Gruppi Parlamentari, che oggi, ben oltre i ruoli tecnici che gli avvocati della giustizia penale militare esercitano nelle aule di udienza, si stabilizza il loro ruolo di giuristi che interloquiscono con la politica al fine di ricercare le soluzioni legislative migliori.
Mi corre l’obbligo, come Presidente della Camera Penale Militare, di precisarne il ruolo in questa sede istituzionale, giacché esso corrisponde esclusivamente alla dimensione ricognitiva e cognitiva cui dà vita la Commissione Parlamentare.
Desidero precisare che, nonostante il breve intervallo di tempo intercorrente tra la comunicazione di questa mia presenza e la sua effettiva realizzazione, della quale né mi dolgo né intendo dare una qualificazione di qualunque genere, essendomi ben chiara la consistenza temporale dei lavori parlamentari, ho riunito i componenti della Camera Penale Militare per averne il parere sul documento che mi accingo ad illustrare.
Si tratta di un documento che la Camera Penale Militare ha elaborato ben prima di sapere di poter svolgere la presente audizione. Dunque, un documento scevro da ogni tipo di condizionamento emotivo.
Della riforma del reato militare
Non è, certo, mio compito aggiornarvi sullo stato dei lavori parlamentari. Mi permetto, quindi, di dare per acquisita la consultazione delle Proposte di riforma depositate presso le Presidenze di Camera e Senato. E tuttavia seppure pleonastico voglio partire dal vigente articolo 37 che definisce il reato militare nei seguenti termini: “qualunque violazione della legge penale militare è reato militare. È reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è in tutto o in parte preveduto come reato dalla legge penale comune”.
Non in ossequio ad una tendenza ad incensare i legislatori passati, il testo che definisce il reato militare appare chiaro.
Questa definizione del reato militare, come è noto, si è consolidata nel tempo anche alla luce di alcune sentenze della Corte Costituzionale.
Ciò che mi induce facendo buon uso di una riflessione svolta dal Dott. Gabriele Casalena, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Militari, a tenere bene a mente che le proposte di modifica dell’art. 37 corrispondono a diverse visioni politiche, sia che appartengano alla tipologia degli interventi abrogativi, ovvero di quelli riduttivi, ovvero ed infine di quelli ampliativi.
Ovvio che il reato militare debba essere considerato alla luce di alcuni principi dell’ordinamento costituzionale: in primo luogo, quello recato dall’art. 103, comma 3, che stabilisce quanto segue: “In tempo di pace (i Tribunali Militari) hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”. E poi, in secondo luogo, il principio di cui all’art. 52 della Costituzione che, come noto recita: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.” Principio del quale, lo ricordo a me stessa, va esaltata la collocazione nell’ambito dei rapporti politici che ne fa non già una sorta di richiamo della tradizione, bensì un vero e proprio cardine della partecipazione attiva alla vita della Repubblica, tanto che si affianca al diritto di voto, al diritto di associarsi in partiti, al diritto di rivolgere petizioni alle Camere, al diritto di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive, al dovere di concorrere alle spese pubbliche, al dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
La Camera Penale Militare non svolge, almeno in questa sede, alcuna funzione ermeneutica e ricostruttiva delle prescrizioni costituzionali, e pertanto, si limita ad enunciare quei principi considerandoli tutti aventi identica natura di presidio della Repubblica.
Facendo, forse, un passo indietro – concettualmente parlando – mi corre l’obbligo di ricordare come già la sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 1958, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 8 della Legge n. 167 del 1956, proprio in relazione all’art. 103, comma 3 della Costituzione, evidenziasse, valorizzando l’avverbio “soltanto”, come “la Costituzione” avesse “chiaramente espresso la volontà che la giurisdizione militare in tempo di pace sia circoscritta nei limiti soggettivi e oggettivi a tal fine precisato (qualità di appartenente delle Forze Armate dei soggetti, carattere obiettivamente militare dei reati) e che i limiti stessi, determinati dal concorso di entrambi i requisiti, non siano per nessuna ragione oltrepassati nei confronti della giurisdizione ordinaria, la quale perciò è da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale e prevalente, fuori di quei limiti, nelle ipotesi di connessione”.
Ben lungi dal revocare in dubbio la consistenza di quella sentenza, ancorché risalente nel tempo, tuttavia non può esimersi, la Camera Penale Militare, dall’evidenziare che essa, come doveva essere, fu data in relazione all’art. 103, comma 3 Cost. .
Appare ragionevole ritenere, con riguardo alla definizione di reato militare, che il legislatore metta tanto il Giudice ordinario quanto il Giudice militare e la stessa Corte Costituzionale nella condizione di valutare, dopo che abbia definito il reato militare, ogni fattispecie alla stregua di tutti principi costituzionali richiamabili. Di volta in volta, infatti, tanto l’Avvocatura Penale militare, quanto la Giurisdizione Militare, quanto e soprattutto gli autori “dei delitti militari”, ciascuno con la propria responsabilità partecipano della generalissima funzione di difesa della Repubblica che si associa alla qualità militare.
Pur coscienti della evoluzione giurisprudenziale, ivi compresa quella delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui si deve il massimo rispetto, l’ipotesi della connessione (quella cui fa cenno la testé citata sentenza della Corte Costituzionale, nonché sentenze civili e penali) non può costituire la porta di ingresso per una sorta di asciugamento del reato militare in danno, come conseguenza, del sistema dei principi cui è preordinata la specificità militare.
In questa luce, ad avviso della Camera Penale Militare, possono essere ricondotte ad unità le ragioni espresse nel preambolo delle diverse proposte di legge all’esame del Parlamento che si sostanziano nelle ragioni di efficienza, di funzionalità, di convenienza e specialità del sistema del diritto militare ed in generale del nostro ordinamento giuridico.
Ogni futura riforma, in ogni caso si ritiene, deve necessariamente tenere conto dell’apporto concettuale della Corte Costituzionale nonché dei contenuti normativi e di indirizzo dell’Unione Europea e dei sistemi di funzionamento delle strutture giudiziarie – in ambito militare – a livello internazionale.
Solo con questa ampia considerazione dei principi in campo, ivi compreso quello stabilito dalla Costituzione all’articolo 97 e preordinato al buon andamento della Pubblica Amministrazione, la Camera Penale Militare ritiene si possa opportunamente esaminare la portata dell’art. 37 del cod. penale militare di pace.
Per il resto, rileviamo, si tratta di una scelta di tecnica di legislazione. L’art. 37, che come ogni disposizione di legge si apre all’interpretazione del Giudice, ha una sua asciuttezza definitoria della quale si può dare conferma in una eventuale norma che lo sostituisca ovvero si può modificare per passare ad una redazione legislativa di tipo didascalico, che, cioè, attribuisca significato di legge alla descrizione dei fatti.
Ancora una volta dobbiamo rivolgerci agli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale per poter meglio precisare la posizione appena enunciata.
Invero, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 215 del 2017 in tema di ingiuria militare scrive: “E’ vero che le fattispecie di reato di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace e all’abrogato art. 594 cod. pen. si distinguono solo per la qualità del soggetto attivo e della persona offesa (oltre che per tipologia ed entità della sanzione), tuttavia – a differenza di altre fattispecie oggetto di scrutinio da parte di questa Corte (sentenze n. 286 del 2008, n. 272 del 1997, n. 448 del 1991, n. 4 del 1974) – è proprio la qualifica militare di entrambi i soggetti (colui che offende e colui che subisce l’offesa) a rilevare per l’individuazione dei beni giuridici protetti dall’art. 226 cod. pen. mil. pace. Continuare a punire penalmente l’ingiuria tra militari, pur per fatti ingiuriosi non riconducibili al servizio e alla disciplina militari, come definiti nell’art. 199 cod. pen. mil. pace, risponde infatti, oltre che all’esigenza di tutela delle persone in quanto tali, anche all’obiettivo di tutelare il rapporto di disciplina inteso come insieme di regole di comportamento, la cui osservanza è strumentale alla coesione delle Forze Armate e, dunque, ad esigenze di funzionalità delle stesse”.
Pur avendo ad oggetto l’ingiuria, una fattispecie della quale apparentemente la giurisprudenza penale ordinaria ha tracciato ogni modalità interpretativa, la sentenza della Corte l’ha proiettata nel ben più ampio scenario della funzionalità e del funzionamento delle Forze Armate, da considerarsi non già in se stesse bensì come supporto difensivo della Repubblica.
Ciò, fa comprendere che la funzione svolta è determinante al fine della precisazione del punto di vista del diritto sostanziale penale. Correlativamente, lo stesso approccio deve essere salvaguardato e valorizzato dal punto di vista processuale, attesa la valenza della funzione svolta dal singolo cittadino (militare) nel nostro ordinamento.
La sicurezza e la difesa dello Stato, “necessità e diritti”, di cui la coesione delle Forze armate ne è uno degli strumenti, hanno delle esigenze superiori in quanto dirette all’interesse pubblico.
Rimessa, come deve essere, la responsabilità della scelta di tecnica legislativa da compiersi da parte del legislatore, che ne assume la responsabilità, e dato per scontato che ogni norma è suscettibile di interpretazione in sede giurisdizionale, appare ragionevole farne discendere la considerazione che l’attributo tipico della legge (quello della generalità ed astrattezza) soddisfa più di ogni altro l’esigenza di fare della legge un comando generale “vivente” e come tale modificabile, di tempo in tempo, dall’attività giurisdizionale. Allora, una formulazione di questo genere:
“Costituisce reato militare ogni violazione della legge penale militare o della legge penale comune, commessa da un militare o da un appartenente alle Forze armate, ai danni di un altro militare o della pubblica amministrazione, per ragioni attinenti al servizio o alla disciplina militare”, può rappresentare una soddisfacente ipotesi di componimento del “conflitto apparente” tra giurisdizione penale militare e giurisdizione penale ordinaria.
Orbene le ipotesi più frequenti di casi di giurisdizione ordinaria prevalente in ambito militare derivano dalle ipotesi di contestuale commissione di più reati, che oggi determinano l’applicazione dell’art. 13 del c.p.p., in cui è stabilità la prevalenza del giudice ordinario rispetto al giudice militare, connessione di reati tra reato militare e reato ordinario.
La riforma dell’art. 37 c.p.m.p., e qui riportata non avrebbe valenza se con essa non fosse prevista la riforma dell’art. 13 del cod. proc. pen., secondo comma, che oggi recita: “Fra reati comuni e reati militari , la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall’art. 16 comma 3. In tal caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario”.
Per i principi espressi e come rappresentato nel preambolo della presente proposta la nuova versione dovrebbe essere “Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera sempre per il Tribunale Militare, nel caso in cui si tratti di persona in servizio militare secondo le norme del c.p.m.p.”.
Roma, lì 12.11.2019
Il Presidente
avv. Saveria Mobrici